È una domenica tutta dedicata
alla missione, in uno scorcio di tempo, quello dopo la festa di settimana
scorsa, in cui siamo invitati a riflettere sul fatto che Gesù, centro della
storia dell’incontro fra Dio e l’uomo, ha radunato attorno a sé la sua Chiesa
per poi mandarla, aprirle l’orizzonte della missione.
I verbi raccogliersi e partire sono il doppio respiro che si
fa regola per la Chiesa di sempre. È il minimo
comune multiplo da cui esplodono in tutta pienezza e creatività tutte le
proposte della Chiesa. Noi siamo chiamati
a stare con Gesù, a fermarci cuore a cuore con lui, lasciarci raccontare
tutto il suo amore per noi; dobbiamo fare
il pieno alla sua vita che si spezza ancora per noi e, allo stesso tempo
però, non possiamo trattenerci troppo presso
di lui per non consumare fra le mani il dono ricevuto, non ci è dato di
indugiare pena il rischio che la spiritualità si faccia spiritualismo, l’appartenenza diventi chiusura a doppia mandata, l’amore per lui si fossilizzi in un’abitudine sclerotizzata: Gesù non ama
chiusure di sorta, trasgredisce quella legge sociale per cui per essere gruppo, per stabilire
un’adesione devi alzare muretti, trincerarti dietro a rigide appartenenze. Dobbiamo andare, dobbiamo portare fuoco
alla terra, dobbiamo spingere sempre più gente a entrare alla festa…già con
queste poche intuizioni quanta verifica si potrebbe fare alle nostre comunità e
ai loro stili un po’ incancreniti, alle proposte che non nascono da una
dimensione contemplativa e si gettano troppo facilmente sulle strade e quindi
troppo a corto respiro; oppure alle chiusure in gruppetti in cui è impossibile
a volte entrarci se non ci sei dentro da troppo!
La missione davvero non è come
un’appendice delle attività della Chiesa…dove
c’è Chiesa c’è missione, dove c’è una comunità che celebra il crocifisso
risorto allora c’è apertura all’altro, ad ogni uomo in ogni luogo. Proviamo a
riprendere il Vangelo, ma la stessa suggestione ricorre anche nella prima
lettura, quando Gesù spiega ai suoi le Scritture: per smarcarli dalla
convinzione che gli eventi della Pasqua fossero stati solo un tragico incidente
di percorso, per convertirli alla logica del Messia crocifisso, indica che il
cuore della Rivelazione di Dio è proprio la croce e la risurrezione e poi c’è
una congiunzione una E a cui segue
l’invio dei discepoli nel mondo per predicare il Vangelo. È una
congiunzione a mio avviso straordinaria,
densa di prospettiva, di futuro: quando
si racconta il Vangelo, quando si parte nel nome di Gesù verso orizzonti nuovi,
quando si decide di piantare la propria tenda fra genti che non è la tua ma nel
nome di un annuncio che non ti può fermare; oppure quando si resta nella
propria città e si cerca di amare il povero, quando ci si dedica alle nuove
generazioni per educarle nella gratuità della fede, quando si accetta la sfida
di entrare in una comunità per lavarsi a vicenda i piedi, allora si sta scrivendo
una pagina in più della storia della Salvezza. Se ce ne accorgessimo
davvero proveremmo un brivido e vivremmo come stupiti, incantati, sognatori che
si sanno partner di Dio per l’oggi del
mondo. Vorrei prendere spunto da alcune suggestioni delle letture ascoltate
oggi, lasciando poi a ognuno la possibilità di riprenderle lungo questa
settimana per continuare a pregarci su e per trovare stimoli per la propria
dimensione missionaria.
1 il cuore dell’annuncio
missionario è la certezza che Dio ci ha
amati, che noi valiamo quanto la vita stessa di Gesù che si è donato a noi,
che si è spezzato sulla croce e che è stato risuscitato proprio per questo suo
amore per l’uomo. E con lui ogni croce non è che l’evento penultimo di una
storia molto più grande, anche le nostre tenebre sono confinate, le nostre
croci, se vissute con amore, sono solo
il preludio di una Gloria che già intravedi, che quando ti perdi è allora che
ti ritrovi. E ancora il cuore dell’annuncio è la certezza che la nostra
vita ha il respiro dell’eternità,
che c’è un oltre, fatto di carità e di giustizia, a cui aggrappare le nostre speranze…tutto
non si chiude nell’attimo presente.
2 la missione per gli Undici
inizia a Gerusalemme per allargarsi agli estremi confini della terra. Deve
partire sempre da questa fetta di terra in cui ti è dato di abitare. Lascio la
parola a una grande donna del nostro tempo, si chiamava Madeleine Delbrel che,
nella periferia marxista e scristianizzata di Parigi, con altre sorelle, si è
immaginata un nuovo modo di evangelizzare condividendo in modo ordinario la
vita ordinaria dei suoi vicini ma con in cuore il segreto dell’amore di Dio per
noi. Così scrive in Missionari senza
battello mettendo la sua vita in parallelo ai missionari che partono per le
terre lontane: “Quest'amore che ci abita,
quest'amore che risplende in noi, perché non ci modella? Signore, Signore,
questa scorza che mi copre non sia almeno uno sbarramento per te. Passa, Signore.
I miei occhi le mie mani, la mia bocca sono tuoi. Questa donna così triste di
fronte a me: ecco le mie labbra perché tu le sorrida. Questo bambino quasi
grigio, tant'è pallido: ecco i miei occhi perché tu lo guardi. Quest'uomo così
stanco, così stanco: ecco tutto il mio corpo perché tu gli dia il mio posto, e
la mia voce perché tu gli dica dolcissimamente: «Siediti». Questo ragazzo così
fatuo, così sciocco, così duro: prendi il mio cuore per amarlo con esso, più fortemente
di quanto non gli sia mai accaduto. Missioni nel deserto, missioni senza
fallimento, missioni sicure, missioni dove si semina Dio in mezzo al mondo,
certi che in qualche parte germinerà, perché «dove non c'è amore mettete l'amore,
e raccoglierete l'amore».
3 Missionari significa essere testimoni e solo chi testimonia è
credibile. Il Vangelo rifiuta il verbo insegnare se non è accompagnato realmente
da gesti che lasciano il segno; non si
può annunciare senza fare; raccontare dell’amore se si rimane con il cuore
chiuso, meschino, ripiegato. Non importa l’eloquenza, anche qui, come per
tutto del resto, contano i fatti e la
coerenza.
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