Diceva un grande monaco del secolo scorso, Dossetti, che la preghiera è l’opera più difficile che si possa compiere e che, a dispetto di molti che credono di saper pregare, in realtà solo pochissimi sono capaci di farlo.
Forse la sua era un’esasperazione delle cose, ma certo è che la preghiera cristiana ha una posta in gioco altissima: è la relazione fra il nostro io più profondo e il Padre di Gesù. E in questa relazione che si fa abbraccio nello Spirito, la nostra vita si modella a immagine del Figlio. La Liturgia della Parola di oggi mette in luce il tema della preghiera e sarà bene che le provocazioni che essa ci consegna ci interroghino anche fuori di qui e lungo tutta la settimana per aiutarci e per trasformarci in persone di preghiera secondo il Vangelo.
Anzitutto la Prima Lettura. Salomone trasferisce l’Arca dell’Alleanza, che aveva avuto dimora prima di allora sotto la Tenda, nel Tempio che lui ha fatto erigere. Dopo la solenne processione e l’insediamento, il Tempio si riempie della Nube divina segno della Presenza di Dio. L’uomo ha costruito con le sue mani il Tempio e Dio decide di abitarci ma quello è solo il Segno della sua presenza, l’Arca è solo il ricordo di un’Alleanza stretta con il suo popolo – la Parola è tagliente nel dirci che in quell’arca trattata con tanta solennità in realtà non c’era nulla se non le tavole di pietra – ma poi i conti si tirano fuori da lì, nella storia di ogni giorno, nella coscienza di ogni credente che è chiamato a rispettare le Legge e a metterla in pratica come cammino di santità.
Anche la 2 Lettera ai Corinti, scritta nel vivo di una polemica fra Paolo e la sua comunità a proposito della buona condotta di vita e sulla fedeltà al Vangelo che lui ha annunciato, ci ricorda che il vero culto si celebra in una vita santa che non si compromette con le tenebre, che non fa sconti al Male in noi e attorno a noi.
E infine la pagina di Vangelo di Matteo suggella tutto questo discorso. Gesù non perde le staffe contrariamente a quello che si pensa, non ha uno scatto d’ira. Pone un’azione simbolica e conosce le conseguenze a cui andrà incontro. Il Tempio deve tornare ad essere casa di preghiera e non può essere un rifugio per ladri: è la citazione testuale di Geremia che accusava il suo popolo di doppiezza; nella vita di ogni giorno si permetteva di frodare, di commettere ogni sorta di ingiustizia e poi pensava di presentarsi davanti a Dio come se lui non vedesse, come se lui non conoscesse i cuori, come se lui non pretendesse coerenza. E Gesù in quel Tempio fa le opere di Dio: guarisce i malati e predica la venuta del Regno. La conseguenza è una rapida accelerazione alla condanna e alla morte di croce perché la sua Parola dà fastidio perché esige radicalità e conversione. È più facile metterlo al bando, credere che la sua sia una follia piuttosto che accogliere la sua provocazione e cambiare rotta.
Cosa dice a noi questa Parola. Penso anzitutto che sia un richiamo alla nostra vita di fede. La preghiera è strumento di dialogo con il Padre. Sottolineo la parola dialogo. A volte noi scioriniamo lunghi monologhi ma difficilmente ci mettiamo in ascolto. La Parola dice: parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta e noi ci troviamo invece, in pratica, a dire, taci, Signore, perché il tuo servo deve parlare! Ad un tratto dobbiamo lasciar parlare Dio al nostro cuore, la preghiera deve farsi ascolto della Parola se veramente deve cambiare il nostro cuore. La forza della preghiera sta tutta nella sua capacità di convertirci. I primi a cambiare, mentre preghiamo, dobbiamo essere noi. La preghiera non cambierà mai il mondo se noi non siamo i primi a invertire la rotta e a mettere nella storia tutto il nostro impegno e la nostra forza per renderla più simile al Regno di Dio. E allora dalla preghiera sorgerà un nuovo modo di relazionarci con noi stessi, ci renderà prossimo di chiunque. La preghiera pretende di cambiare il nostro rapporto con il mondo, detta le condizioni per il nostro pensiero politico e anche economico. La preghiera ci renderà simili in tutto, ognuno con la sua vocazione, a Gesù e saremo sua immagine qui e ora. La verifica della nostra preghiera rimane dunque la vita di ogni giorno e la coerenza che avremo saputo mettere in ogni sfida. Approdo della preghiera non può che essere la Carità. Sul tema della coerenza siamo parecchio incalzati da chi non crede o ha deciso di non praticare più per i motivi più svariati. A volte è un appello recondito alla santità quello di chi dice di non venire più in chiesa perché è rimasto ferito dall’incoerenza dei credenti. Ma cosa direbbero se noi per primi trasformassimo la nostra preghiera in una vita che nel suo piccolo si fa luce e sale per il mondo?
E infine la Parola di oggi ci interroga anche sulla celebrazione che stiamo compiendo. Siamo qui non per assolvere un precetto. La Messa non ha nessun valore se non spacca il nostro cuore di pietra e non ci rende insieme comunità profetica per il presente, se non ci rende Corpo di Cristo qui e ora, capaci di porre i segni che lui ha saputo dare di relazione profonda con il Padre e di guarigione per l’umanità ferita. La Messa non è un rifugio mistificatorio, il profumo d’incenso e la melodia dei canti non sono capaci di confondere il nostro Dio. Quello che ci è chiesto è di aprirci alla Parola e poi di lasciarci portare in alto dalla capacità che ha avuto Gesù di dare la sua vita e di amare sino alla fine perché anche noi ne seguissimo le orme.
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