Non erano certo anni facili quelli in cui visse Elia. Il Regno di Davide, alla morte di Salomone, era stato spartito in due e i successori, sia in Israele che in Giuda, spesso dimenticavano la loro vocazione al servizio della Nazione e spadroneggiavano sul gregge loro affidato. Allora come sempre, non c’è modo migliore per togliere la libertà a un popolo che spezzare il filo della memoria, strappargli il passato e poi rubare anche il futuro svuotandolo di senso e ripiegando le persone sui bisogni più materiali, costringendole a volare basso, non oltre l’orizzonte del quotidiano. E così i re costruivano altari agli dei per far dimenticare il Dio della libertà che aveva sancito la sua Alleanza con Israele sul Sinai e si circondavano di falsi profeti che storcevano le cose future per accontentare i desideri dei potenti. La pagina di oggi ci presenta Elia contro questi profeti della regina Gezabele in una disputa accesa, che in alcuni passaggi diventa quasi pantomima, commedia non senza ironia tagliente. C’è da dire però che Dio non gli aveva ordinato anche di sgozzarli come accade qualche riga dopo il brano di oggi tanto che quei canali scavati dalla gente convenuta, secchi d’acqua, si riempiono di sangue. Non solo, Elia capirà più avanti, sull’Oreb, quando Dio si rivelerà a lui nel mormorio di un vento leggero, segno che il Signore non giustifica mai la violenza ma si rivela sempre nella debolezza, di non essere davvero così solo come crede: Dio ha riservato in Israele un popolo numeroso a lui fedele, circa settemila persone.
Mi sembra che la Liturgia della Parola di oggi metta in luce due nodi su cui riflettere: da una parte l’infedeltà e il tradimento dell’uomo che piega al suo volere la Parola e la svuota dal di dentro e dall’altra la testardaggine di Dio nel costruire il suo Regno anche ribaltando dal di dentro il Male e trasformandolo in bene.
Questi due punti li troviamo anche nelle altre due letture: Paolo nell’Epistola, con uno sguardo che va in profondità rispetto all’apparenza, uno sguardo – mi piacerebbe dire – teologico, rilegge il rifiuto del Vangelo da parte d’Israele come un’occasione provvidenziale per annunciare il Regno anche alle Genti. Il Cristianesimo è approdato nel mondo occidentale, oltre i confini d’Israele, grazie proprio alle tante ostilità che gli Apostoli, e Paolo con loro, hanno incontrato nelle comunità ebraiche. Di solito Paolo approdava in una terra con un gruppo di missionari e il primo annuncio della Morte e Risurrezione del Cristo Gesù era riservato alle sinagoghe. Molto spesso venivano cacciati da qui e allora il Vangelo veniva raccontato sulle piazze e nelle case a gente pagana che invece si convertiva: occasione perduta per gli ebrei trasformata in provvidenziale occasione dallo Spirito di Dio.
E Gesù nel Vangelo, con la parabola dei vignaioli omicidi, raccontata nel Tempio pochi giorni prima della sua croce, sembra confermare quanto detto prima: Dio in Gesù costruisce il suo Regno anche con un Popolo che non appartiene alla radice d’Israele.
Potremmo aprire qui un esame di coscienza e chiederci quando anche noi, che siamo i destinatari ultimi del Vangelo, chiamati a edificare con la nostra Fede, Speranza e Carità il Regno di Dio ci comportiamo come quei vignaioli, da contadini chiamati a partecipare del Regno ci trasformiamo in cinici detentori e chiudiamo le porte del nostro cuore allo Spirito e uccidiamo in noi la presenza di Gesù perché crediamo di riuscire a farne a meno per essere felici, perché ci spaventa la sua proposta. Magari siamo bravi a ostentare la nostra religiosità ma in realtà siamo aridi e sterili e la nostra testimonianza non è coraggiosa ma tiepida, non sfida il mondo di oggi ma ci arrocchiamo nei nostri privilegi, non osiamo parlare di Gesù alle nuove generazioni e costruiamo verso di loro una barriera invalicabile da una parte e dall’altra.
Preferisco però porre l’accento sulla cocciutaggine di Dio nel portare avanti il suo disegno con noi e a volte nonostante noi, con la sua Chiesa e, talvolta, mi fa male dirlo, nonostante la sua Chiesa.
Dio ha preso il suo Figlio, scartato dal suo popolo come una pietra inutile, e lo ha risuscitato e lo ha reso testata d’angolo, pietra che dà l’intonazione all’ordine di una nuova costruzione. Dio continua a costruire così il suo Regno raccogliendo nella sua bisaccia tutte le pietre che noi scartiamo perché le consideriamo inutili e le pone a fondamento di un nuovo mondo. Se penso alla storia della Chiesa, mi vengono in mente tanti santi che hanno sofferto molto anche per la Chiesa perché non riconosciuti come segno profetico dello Spirito: Francesco e il suo amore appassionato per Madonna Povertà, Bernadette e le apparizioni della Vergine a lei che era la più piccola e la più stupida di tutte le bambine di quel borgo oscuro di Lourdes di fine 800, Giovanni Bosco e la follia della santità proposta ai giovani nell’allegria dell’oratorio, Padre Pio e la fedeltà al Vangelo consumata nel nascondimento di un paese sprofondato nel sud Italia con la dedizione alla confessione e all’Eucarestia e ancora don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, p. David Maria Turoldo… e quanti ancora oggi. Stiamo attenti a quando come Chiesa, come comunità, come singoli scartiamo da noi i più poveri e quelli che giudichiamo incapaci di accogliere il Vangelo perché Dio non ragiona così, non guarda alle apparenze ma al cuore. Troppi sono quelli che noi mettiamo ai margini: dagli stranieri ai giovani più in difficoltà. Come sarebbe bello se la nostra comunità mettesse i poveri non a margine, non come destinatari ultimi di tanti progetti ma sempre un gradino sotto, ma al centro per il loro riscatto e progressivamente come sarebbe bello se iniziassero ad assumersi piccole o grandi responsabilità.
C’è una speranza però che conclude il nostro discorso: Dio non si spaventa dei nostri errori e neppure dei nostri peccati. Sa prenderci invece per mano e, nella sua Grazia, si serve anche del nostro Male per innalzarci alle vette della santità: un Dio così io non lo voglio più lasciare!
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