Nelle settimane che seguono l’Epifania la nostra Chiesa vuole vivere ancora la gioia di aver incontrato un Dio che, pur restando diverso e altro da noi, ha deciso di rivelarsi, di raccontarsi in Gesù suo Figlio chiedendoci di seguirlo, di fidarci di lui e di amarlo.
Ascolteremo così in queste domeniche, esclusa la santa Famiglia, i racconti in cui Gesù rivela la sua Gloria nel segno oggi dell’acqua trasformata in vino e poi del pane moltiplicato, la sua Potenza che guarisce e la sua Misericordia che salva.
Mi piacerebbe approcciare il brano delle nozze di Cana con una doppia prospettiva: da una parte mettendomi nei panni di chi era presente lì in quel giorno e poi raccogliendo la simbologia di cui è ricco questo e tutte le pagine del Vangelo di Giovanni.
Sono diversi i protagonisti che si muovono all’interno di questa scena. Gli sposi e la loro gioia condivisa nella festa che, secondo l’uso di allora, poteva anche durare una settimana: loro non si accorgono di tutto quello che stava accadendo nelle retroguardie del cerimoniale e del miracolo di Gesù: ne sono i beneficiari assoluti con tanto di lode da parte del maestro di tavola! E poi ci sono i servi che denunciano la mancanza e sono i soli a vedere il segno dell’acqua trasformata in vino in quelle giare di pietra. A quelle nozze c’è Maria che muove il Figlio a compiere il miracolo con la premura di chi partecipa alla gioia e alla sofferenza dell’altro e infine i discepoli che assistono e credono alla manifestazione di quel Maestro che li aveva affascinati sul cammino della loro vita. La nostra prospettiva in questo racconto coincide con quella del narratore che sa tutto lo svolgersi dell’episodio e, allo stesso tempo, sa anche come prosegue la storia di Gesù fino al compimento dell’Ora in cui il cielo e la terra si sono uniti, come per le nozze, nell’abbraccio del crocifisso-risorto. Noi possiamo condividere la premura della Madre, lo stupore dei servi, la gioia degli sposi e soprattutto la fede dei discepoli che avevano seguito Gesù per credergli e ora gli credono per poterlo seguire più da vicino e comprendere sempre più di lui. La fede non è mai un assioma scontato ma, come per l’amore, un dono che cresce solo nella misura in cui ci si mette in gioco. Gesù si è rivelato a noi in qualche cosa, mai in maniera definitiva, ci chiede di fidarci e di credere in lui, di affidarci alle sue braccia come un bambino in quelle della madre, si rivela e poi si nasconde, ci dà luce e poi ci permette di entrare nella notte della fede, gli piace stare con noi giocando a nascondino. Proviamo ora a vedere insieme qualche cosa della simbologia di cui il testo è ricco. Giovanni scrive sempre su un doppio registro: ci racconta dei segni ma questi rimandano sempre a un oltre, alla Gloria come la carne di Gesù rimanda sempre alla sua divinità.
Il segno delle nozze: in un contesto così il Signore si è voluto rivelare per dire che la sua vocazione è quella di raccontare l’amore di Dio all’uomo e che in lui è arrivato il giorno dell’Alleanza nuova e della comunione. Le giare di pietra per la purificazione sono sei e denunciano l’imperfezione di tutti i riti e le realtà che hanno preceduto il suo giorno; il vino è il segno della festa e della gioia dei tempi ultimi, della pienezza e dice la presenza del Messia; è proprio l’acqua rituale a trasformarsi dal di dentro, dalla fede ebraica è nata la Chiesa come continuità e anche compimento di un cammino di Alleanza – è interessante ricordarlo in questo giorno in cui si celebra il dialogo fra cristiani ed ebrei e in cui il Papa ha fatto visita alla Sinagoga di Roma per dire che la Chiesa non può mai pensarsi lontana o diversa da quel cammino del popolo eletto –; e infine, la gioia degli sposi e quella degli invitati che, pur ignorando tutto, possono continuare a far festa è la gioia del mondo che ha incontrato Cristo: se qualcosa di bello e di buono prende forma nel nostro tempo è perché nasce dal soffio dello Spirito di Gesù.
Anche noi allora non scordiamo che il nostro Dio ci ama e ci veste di tenerezza, ai suoi occhi siamo preziosi come la sposa per lo sposo, come in un matrimonio dove non ci si vuole bene perché si è perfetti ma ci si sceglie e ci si ama a partire dalla debolezza e dai limiti dell’altro. Questo amore deve essere la nostra grammatica per le nostre relazioni in casa, sul lavoro e nella comunità. Non scordiamo che il tono di fondo della nostra vita deve essere la gioia, discreta, profonda che nulla può turbare, e ogni tanto ricordiamo di essere frizzanti come il vino nuovo, capaci di dare ebbrezza e di spaccare ciò che è vecchio, in altre parole, il cristiano deve essere uno che si cala nel mondo e lo rinnova dal di dentro con una speranza che si fa gioia contagiosa, una creatività sempre nuova che rompe i moduli vecchi e se ne inventa sempre di nuovi, con un linguaggio e uno stile che non sanno di muffa ma danno giovinezza a chi ci circonda.
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