Una storia che è ad andamento sinusoidale e i vuoti del peccato
dell’uomo sono colmati dalla presenza di un Dio Alleato
La storia dell’uomo ha un andamento tutt’altro che lineare! Ci sono
stati dei tempi in cui sembrava di galoppare in avanti alla conquista di mete
inimmaginabili, attimi in cui sembrava di avere a portata di mano l’utopia della
felicità come evento di popolo. Ma fra questi pieni ci sono stati molti, forse troppi vuoti in cui la barbarie, la violenza, la negazione del Vero
e di conseguenza del Giusto e del Bello hanno gettato l’umanità in un baratro di
oscurità. Proprio fra questi pieni e
vuoti si incide a chiare lettere la Storia della Salvezza. Con uno sguardo
capace di penetrare le apparenze ci si può accorgere delle orme che il
passaggio di Dio ha lasciato lungo la storia e i tanti vuoti del peccato e dell’ingiustizia sono stati colmati da un
amore che ha sempre riaperto la partita, un amore che è Promessa di un’Alleanza
che non viene mai meno.
Mi sembra questa la premessa necessaria per provare a
sottolineare qualcosa della Parola ascoltata questa domenica da cui emergono
come forze contrapposte la violenza dell’uomo e lo sgomento che essa genera e
la speranza che Dio continua a seminare fra i suoi.
Il clamore della distruzione del Tempio…2 segni di speranza: il
profeta Geremia e il resto d’Israele perché Dio non resta imprigionato tra le
colonne del Tempio.
Del Tempio di cui si parla nella prima lettura a noi non rimane
pressoché nulla. Il muro davanti a cui oggi si prega a Gerusalemme, il Muro del
Pianto, è parte dell’ampliamento voluto nei primi anni del I secolo dal re
Erode al secondo Tempio ricostruito dopo la deportazione a Babilonia. Dunque ci
è difficile immaginare come fosse; qualche suggestione ce la offre la prima
lettura parlandoci delle sue ricchezze trafugate, ricchezze che, come racconta
la Bibbia, lasciavano a bocca aperta ogni visitatore. Il Tempio era il centro
del culto ebraico, il luogo della memoria dove era custodita l’Arca, la casa
dove Dio, grande e inaccessibile, aveva comunque deciso di prendere dimora. Comprendiamo dunque perché la sua
distruzione ha generato sgomento e smarrimento: significava la fine di un’Alleanza,
l’oscuramento di un passato che rendeva Israele unico, la cancellazione della
memoria e forse la dimostrazione che Dio non solo si era allontanato, aveva
maledetto la sua eredità ma, come dicono gli empi, che neppure esiste. È la
capitolazione di una storia troppo bella per essere vera sotto i piedi dei
violenti. Ma se si va appena sotto la superficie di questa vicenda, ad un
tratto, trapelano due segni di speranza, come un bandolo di una matassa
intricatissima ma, che afferrato, può aiutarci a comprendere verso quale
direzione Dio stava spingendo la storia. Il primo segno è il profeta Geremia
che, anche se non presente in queste righe, ne è il protagonista. Geremia, in
obbedienza alla voce di Dio, facendosi parte di esso, è stato voce di
contraddizione per il popolo. Anche pagando
di persona non smetteva di richiamare a Israele troppo sicuro di sé la via
della Giustizia invitando alla conversione. Ma nei giorni della desolazione,
di questa strage, della deportazione non si tira indietro, rimane con la sua gente e annuncia la Speranza, racconta della
tenerezza di un Signore che non può dimenticare il suo popolo perché sarebbe
come dimenticare se stesso. Ed è proprio
da questa dichiarazione di misericordia che Israele può ritrovare anche la sua
identità e immaginare un futuro possibile in quella terra che gli è stata
tolta. Il secondo segno sono i
poveri e gli ultimi che vengono lasciati nella Terra. Per i grandi di
Babilonia non contavano nulla e non
meritavano di entrare nei ranghi del regno. Rimangono a coltivare la terra,
anello di congiunzione di un passato che è anche presente e promessa di futuro,
baluardo che dice di un Dio che non guarda alle apparenze e che fa delle pietre
scartate dall’’uomo una costruzione nuova e solidissima; di un Dio che non si
lascia imprigionare fra le belle pietre ma che è libero, zingaro, nomade in
mezzo al suo popolo e sempre capace di cose nuove.
In un tempo come il nostro, di fronte al crollo di certe
sicurezze, davanti allo sgomento per la perdita di senso…
Non voglio forzare la Parola e renderla uno schema con cui
leggere il nostro presente, eppure sento che è capace di parlare anche a noi e
al nostro tempo, alla nostra storia fatta di pieni e di vuoti molto simili a
questo racconto. Avvertiamo ormai che
siamo in un tempo di passaggio – di crisi per restare alla lettera – dove non
si affaccia ancora con chiarezza l’orizzonte ma sentiamo sulla pelle il brivido
per il crollo di tante sicurezze che
puntellavano la nostra vita e la nostra società e anche la Chiesa; sentiamo nel
cuore il tonfo che sale dalla caduta del Senso della vita che viene smantellato
giorno dopo giorno, immolato sull’altare di privatismi e di egoismi. Ora le
possibilità sono due: possiamo rintanarci in noi stessi e rimanere alla lunga
vittime della paura oppure possiamo metterci in ascolto dello Spirito e
chiederci dove sono le orme del passaggio di Dio, di un Dio libero e altro
rispetto a noi ma che non si è stancato di scrivere per noi le pagine
bellissime della sua storia della Salvezza e
che ci sta preparando un orizzonte promettente.
E scopriremo anche noi che
Dio abita nel cuore dei profeti. Di uomini e di donne che in modo vero ci stanno graffiando
richiamandoci a ciò che conta. Abita fra
i poveri che non contano nulla… scrive così don Tonino Bello: “Dio
non sempre si lascia incantare da chi sa parlare meglio. Non sempre si fa
sedurre dal profumo dell'incenso, più di quanto non si accorga del tanfo che
sale dai sotterranei della storia. Desidero rivolgermi a voi [poveri], perché
sono convinto che il rinnovamento spirituale può partire solo da coloro che non
contano niente”. E ci invita
alla conversione, a passare dalla loro parte per ritrovare il suo volto e
camminare con lui verso un mondo nuovo.