domenica 8 aprile 2012

quinta domenica di quaresima


Non è facile prendere un ideale evidenziatore fra le mani e lasciar emergere i tratti più importanti di questa lunga pericope del Vangelo di Giovanni.

Questo è l’ultimo dei segni che Gesù compie, il più importante. I segni…questi accadimenti che cambiano la natura delle cose, che incidono nella carne e che rimandano ad una realtà altra, che portano con sé sempre un interrogativo rivolto alla libertà dell’uomo perché possa aprirsi con fiducia alla presenza di un Dio che è Padre e che non ha mai smesso di farsi compagno, alleato del suo popolo camminando proprio in mezzo a loro.

Gesù decide di partire per la Giudea anche se sa che è come scendere nella fossa dei leoni. Ha maturato forse già la convinzione che solo donando la su vita, spezzandosi come pane, avrebbe potuto dichiarare tutto il suo amore e la sua intenzionalità salvifica per i suoi. E così la morte d Lazzaro diventa ai suoi occhi, alla sua mente un angoscioso presagio della sua morte: un conto è comprendere di dover dare la vita e un altro trovarsi nel mezzo dell’arena, sentire sulla pelle il brivido che quel momento è molto, troppo prossimo.

Qui a Betania incontra le sorelle di Lazzaro. Una, Marta, che gli corre incontro alzandosi dal suo dolore, uscendo da quella casa che la costringeva a tenere il pensiero fisso sulla morte. E l’incontro con il Maestro le apre la dimensione di una nuova fede e una nuova speranza. Maria invece rimane in quella casa e ci sarebbe rimasta se sua sorella non fosse corsa a pregarla di accompagnarla da Gesù. Maria non vuole saperne di incontrare l’amico che ha sentito  così distante proprio nel momento più angoscioso della sua vita. Le due sorelle sono i due opposti atteggiamenti di fronte alla morte: rispettivamente un’inattesa apertura alla fede e una chiusura definitiva all’Altro.

E poi il segno che si esaurisce in poche righe: una preghiera, un grido e la pietra che pesava come un macigno irremovibile sulla tomba e sulla vita degli amici di Gesù viene ribaltata e Lazzaro esce dal sepolcro.

Vorrei soffermarmi su questo verbo uscire. Mi sembra che sia la condizione in cui si trovano tutti i protagonisti di questo racconto. Maria e Marta devono abbandonare una fede troppo popolare, troppo generica per accedere ad una dimensione nuova, ad una fede personale, cioè che punta tutto sulla persona di Gesù. Lazzaro lascia la tomba. I discepoli devono uscire dalla paura e dal tentennamento. I giudei devono, vedendo quel segno, uscire dalla presunzione orgogliosa id aver compreso tutto di Dio e addentrarsi nell’enigma di Gesù come Messia e Figlio di Dio.

Ma anche Gesù deve uscire. Uscire dalla paura della morte, la sua, che lo fa commuovere e turbare profondamente, che gli spezza la parola in gola e lo fa piangere.

Tutti loro escono solo per un atto di affidamento profondo. Per la fede in Dio che è Padre e che non ci abbandona mai le cui orme rimangono invisibili sulla sabbia della nostra vita perché ci solleva sulle sue ali e ci fa volare assieme a lui, questo Padre che, per dirci che la sua Gloria è la nostra vita in pienezza, ci fa sperimentare ogni giorno scampoli di risurrezione.

Vorrei che questa sosta di quaresima, prima di entrare nella settimana autentica, sia per noi occasione per purificarci da tutte le nostre paure. La morte è, a mio avviso, l’immagine più emblematica di ciò che paralizza il cuore rendendoci duri, chiusi, muti, spaventati e arresi di fronte alle sfide della vita. Ci sono paure che attanagliano il nostro cuore. La paura di non essere amati, la paura del fallimento, la paura dell’altro, di aver tradito i nostri sogni, la paura della delusione, la paura di non farcela e di non riuscire a fare tutto quello che vorremmo in un tempo che percepiamo essere diventato breve. c’è la paura di ricucire un rapporto mentre il tempo passa. Lasciamoci prendere per mano dal Padre, lui è la nostra roccia. Lasciamo che la sua Grazia ci tocchi e compiamo un salto di affidamento. Lasciamo che la sua luce entri nelle nostre zone d’ombra e ci aiuti a metterci in gioco perché davvero vivere nella paura è perdersi la vita, lasciarsi frenare dal timore è un azzardo troppo alto che rischia di far scivolare nella banalità e nel ripiegamento il resto dei nostri giorni. Sarà allora come una primavera. Sentiremo di avere la nostro fianco un Dio che lotta dalla nostra parte e inizierà a fiorire in noi una vita degna di questo nome che è già segno di risurrezione.

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